OFARCH 158
Prima di iniziare a ragionare sul tema della condivisione sociale mi sono domandata cosa significasse essere un architetto oggi. Probabilmente una risposta univoca non esiste ma bisogna, in ogni caso, essere un ricercatore capace di soddisfare, con impegno e creatività, le richieste della società, mantenendo sempre una visione complessiva e soprattutto ‘critica’ ma anche ‘utopica’ sui bisogni di tutti. Come dice Marco Biraghi nel suo libro L’architetto come intellettuale, il ruolo dell’architetto è “quello del coordinatore, del supervisore, del regista (dal latino regere, dirigere); tutte attività per le quali necessita – al di là delle singole competenze – il possesso di uno sguardo ampio e di una visione sintetica. Una comprensione e un’organizzazione di molti elementi contemporaneamente, per le quali sono appunto richieste spiccate capacità intellettuali”. Ma essere architetti è, prima di tutto un privilegio, perché ci permette di agire sull’ambiente in cui vivono gli esseri umani riuscendo a farli sentire parte di qualcosa di più grande, di una comunità, dirigendo un ‘film’ corale all’interno del quale ognuno di noi può diventare ‘attore’ quando sentiamo che la nostra individualità inizia a starci troppo stretta. Questo processo implica una sensibilità e la consapevolezza di una responsabilità civica che è insita nell’architettura, in quanto risposta di qualità alle esigenze della collettività.
Guendalina Salimei